I sacchi della posta
Lucio battisti
Fiera, sommessa, repentina, breve
l'estensione variabile dei piedi,
l'andatura, l'adagio, lo svelto,
l'incedere e il procedere.
Poi le scarpe sono la precisa
espressione del viso,
andare passo passo, fare moto,
per correre e agitarsi molto poco
appena in tempo per
la messa cantata
un altro po'.
Ed il treno era partito,
svoltato l'angolo,
aggirato il monumento,
lungo le mura, rasente la barriera,
di sotto il porticato,
sfiorando la ringhiera,
la spalletta, la spalletta sul fiume.
Le scale, sulle scale, le scale,
da un sarto senza manica sinistra,
dall'ebanista discutendo se si possa
chiamare diceria, il capriccio
della cornice.
Perché non scende e uno,
perché non sale e due,
i sacchi della posta,
questa è l'ora,
quasi da soli saltano,
sugli sbarcatoi.
I quarti di buesse sanguinose,
soggiogano ragazzi incappucciati,
gli appuntamenti sono plateali:
vedi venirsi incontro due vocali.
I cagnolini vanno avanti al trotto,
i cani grossi hanno scontri di botto,
col non si sa che sia col non si sa.
I minutini, gli attimi, gli instanti
tengono a bada tutti tutti quanti,
ma le mezz'ore perse sono già funeste,
son teste emerse e rifugiate leste,
nelle finestre, nelle finestre.
A prima vista tutto è secondario,
poi le scarpe sono la precisa volontà del viso,
cominciano i miraggi: atti notori,
col nastrino in gola,
fanno i graziosi mentre fan la spola.
Patenti a fisarmonica, a soffietto
hanno da dire e da ridire su tutto,
licenze ancheggiatrici
fanno adescamento
quindi i certificati sono
pellirossa tutti lustrati.
Arrivederci ed uno
a risentirci e due,
le parti per il corpo articolato,
si piegano, si snodano polpose,
e succulente e ossee e nervose.
Il ginocchio, il polso, l'anca, il pennone,
intorno al quale il muscolo fa vela
lo zigomo, la tempia, il metatarso
poi le scarpe,
con i lacci o senza
la faccia, arrivederci arrivederci.
l'estensione variabile dei piedi,
l'andatura, l'adagio, lo svelto,
l'incedere e il procedere.
Poi le scarpe sono la precisa
espressione del viso,
andare passo passo, fare moto,
per correre e agitarsi molto poco
appena in tempo per
la messa cantata
un altro po'.
Ed il treno era partito,
svoltato l'angolo,
aggirato il monumento,
lungo le mura, rasente la barriera,
di sotto il porticato,
sfiorando la ringhiera,
la spalletta, la spalletta sul fiume.
Le scale, sulle scale, le scale,
da un sarto senza manica sinistra,
dall'ebanista discutendo se si possa
chiamare diceria, il capriccio
della cornice.
Perché non scende e uno,
perché non sale e due,
i sacchi della posta,
questa è l'ora,
quasi da soli saltano,
sugli sbarcatoi.
I quarti di buesse sanguinose,
soggiogano ragazzi incappucciati,
gli appuntamenti sono plateali:
vedi venirsi incontro due vocali.
I cagnolini vanno avanti al trotto,
i cani grossi hanno scontri di botto,
col non si sa che sia col non si sa.
I minutini, gli attimi, gli instanti
tengono a bada tutti tutti quanti,
ma le mezz'ore perse sono già funeste,
son teste emerse e rifugiate leste,
nelle finestre, nelle finestre.
A prima vista tutto è secondario,
poi le scarpe sono la precisa volontà del viso,
cominciano i miraggi: atti notori,
col nastrino in gola,
fanno i graziosi mentre fan la spola.
Patenti a fisarmonica, a soffietto
hanno da dire e da ridire su tutto,
licenze ancheggiatrici
fanno adescamento
quindi i certificati sono
pellirossa tutti lustrati.
Arrivederci ed uno
a risentirci e due,
le parti per il corpo articolato,
si piegano, si snodano polpose,
e succulente e ossee e nervose.
Il ginocchio, il polso, l'anca, il pennone,
intorno al quale il muscolo fa vela
lo zigomo, la tempia, il metatarso
poi le scarpe,
con i lacci o senza
la faccia, arrivederci arrivederci.
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