Magazzino 18
Simone cristicchiChe un tempo si chiamava italia, e uscì sconfitta dalla guerra
Hanno scambiato le nostre radici con un futuro di scarpe strette
E mi ricordo, faceva freddo l’inverno del quarantasette...
E per le strade un canto di morte, come di mille martelli impazziti
Le nostre vite imballate alla meglio, I nostri cuori ammutoliti
Siamo saliti sulla nave bianca, come l’inizio di un’avventura
Con una goccia di speranza, dicevi “non aver paura!”
E mi ricordo di un uomo gigante, della sua immensa tenerezza
Capace di sbriciolare montagne, a lui bastava una carezza
Ma la sua forza, la forza di un padre, giorno per giorno si consumava
Fermo davanti alla finestra, fissava un punto nel vuoto, diceva
Ah...come si fa? A morire di malinconia per una terra che non è più mia
Che male fa, aver lasciato il mio cuore dall’altra parte del mare
Sono venuto a cercare mio padre in una specie di cimitero
Tra masserizie abbandonate e mille facce in bianco e nero
Tracce di gente spazzata via dall’uragano del destino
Quel che rimane di un esodo, ora, riposa in questo magazzino
E siamo scesi dalla nave bianca, I bambini, le donne, gli anziani
Ci chiamavano “fascisti”, eravamo solo italiani
Italiani dimenticati in qualche angolo della memoria
Come una pagina strappata dal grande libro della storia
Ah...come si fa? A morire di malinconia per una vita che non è più mia
Che male fa, se ancora cerco il mio cuore dall’altra parte del mare
Quando domani in viaggio arriverai sul mio paese
Carezzami ti prego il campanile, la chiesa, la mia casetta
Fermati un momentino, soltanto un momento
Sopra le tombe del vecchio cimitero
E digli ai morti, digli, ti prego
Che no dimentighemo
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